Come si fa ad uccidere un ricordo? Come si fa ad uccidere il dolore?

L’ennesima nottata passata così, sull’orlo di un oblio; a piangere senza lacrime, a urlare senza voce. Per cosa? Per niente. Per scontare una pena di un peccato mai commesso.

Rifarsi una vita non è facile, scardinare l’abitudine di sentire quei passi la notte, quelle mani sui fianchi, quel puzzo agre che violenta le narici. E sentire tutto comunque, come se non fosse mai finito.

Dormire e sognare un’infanzia che non hai voluto, che non hai scelto. Svegliarsi e sognare un altro passato. Svegliarsi e rendersi conto che si sta vivendo la vita che è sempre stata desiderata. Ma… non basta. No, non basta per cancellare una vita di ricordi.

Rigirarsi nel letto, con gli occhi spalancati a fissare il vuoto e il suo sguardo vivo dentro di te, morto. Morto perché non vive più davvero.
Come si fa ad uccidere un ricordo? Delle sensazioni? Come si fa ad uccidere il dolore? Dolore del quale sei schiava da sempre, che non riesci a fare andare via.

Svegliarsi con te sopra di me, con le mani sul volto, con te, il mio scaccia incubi. Con lo sguardo che trema ma con le mani ferme, ad accarezzarmi. Con i tuoi occhi che urlano “io sono qui”. Ma non basta.
Ed è lì che ti accorgi che vivere nel passato è deleterio. Ma come si fa a cacciar via i fantasmi di una vita che sono appigliati al tuo cuore con artigli che ti graffiano l’anima? Come si fa?
Col tempo, forse. Col tempo, speriamo.

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Tra amore e odio cambia poco

Confusioni.
Urla.
Grida.
Schiaffi.
Poi di nuovo urla, lacrime, calci, pugni, resistenza!
RESISTENZA, stupida e inutile resistenza.
Poi affonda, silenziosamente, e così anche la tua esistenza. Affonda in un oceano di dolore.

Quell’atto d’amore che diventa d’odio: è lì che hai capito la linea sottile che divide i due sentimenti.

Non ci sono più lacrime, né pensieri. Silenzi interrotti da sporchi e impuri gemiti di un ladro d’amore, di una persona che ti ha svuotato il cuore per riempirlo di solo odio. Ma alla fine tra odio e amore cambia poco, no?

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I tuoi occhi parlano

Mi guardi
Ti guardo
Mi leghi, sto ferma
Non vedo più. Sento.
Sento i dna che si mescolano
Sento il mio ansimare
Sento la tua soddisfazione

La differenza tra il fare l’amore e il sesso è labile come quella tra odio e amore;
Il nostro fare l’amore è dettato da un odio apparente:
mi colpisci, ma mai con troppa forza;
Ogni tanto ti fermi, mi guardi,
lo schiaffo diventa carezza,
carezza dettata dal ”ti amo” che hai nel cuore.

Il nostro amore così forte, così bello, così violento
Il nostro amore così infantile, così maturo, così stupido, così saggio.
Entrambi siam la contraddizione di sé e dell’altro
e ci incastriamo perfettamente come un puzzle di assurdità.

I tuoi occhi così anonimi, color cioccolato, terra fertile
che danno brividi di gioia, dolore, ansia, a seconda di quel che senti;
Perché i tuoi occhi parlano: dicono quello che l’anima sente.

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Buona festa della mamma (solo se sei umana)

Oggi si festeggia la mamma, figura importantissima per i più.
Riporto da wikipedia:

La festa della mamma è una ricorrenza civile diffusa in tutto il mondo, celebrata in onore della figura di madre, della maternità e dell’influenza sociale delle madre.

Da nessuna parte c’è scritto che si festeggia la figura della madre umana; le madri sono tante e tutte di specie diverse, eppure tantissime non solo vengono dimenticate ma anche sfruttate, seviziate e uccise. Tutto ciò accade in onore dello stesso dio che venera la festa della mamma, il dio denaro. Lo stesso capitalismo che ti fa spendere soldi in occasione di una festa idiota, facendoti credere che tiene alla figura materna, smunge le vite di altre mamme; solo che costa molto accendere il cervello, uscire dagli schemi e capire che se una mucca viene ingravidata contro la sua volontà si chiama stupro nonostante non sia una donna. L’industria del latte è il più palese esempio dell’emblema dell’incoerenza e della cecità della maggior parte della popolazione mondiale. Una mucca viene presa, rinchiusa, stuprata. Dopo il parto le viene sottrato il figlio (Figlio (dal latino filius) è la creatura umana, animale o vegetale, rispetto a coloro che lo hanno generato) destinato al macello (usano sperma modificato in modo tale da far partorire solo maschi, utili per la carne) per poi venire estenuate, per rubare loro il latte destinato ai vitelli per il vostro sporco bisogno di appagare il palato.
Scegliete il rispetto, fate una scelta di coerenza, pensate che non siete gli unici figli o le uniche madri. 

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La danza degli alberi

Quello che vedo sono alberi che ballano al ritmo di una chitarra. Le corde che vibrano nell’aria fanno danzare gli alberi e i cuori; non i cuori stilizzati né quello che dà forma a Villa Borghese. Due cuori sinceri che amano e che di borghese non hanno proprio nulla. Gli occhi si chiudono per far carpire meglio agli altri sensi ogni sfumatura di quella danza. Tu con le mani dirigi l’orchestra di suoni e movimenti per dar vita ad una dolce armonia. Aprirli poco dopo per ritrovarti lì a dimostrazione del fatto che per realizzare un sogno l’unica cosa da fare è aprire gli occhi e realizzarlo.

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Io non ho quella malattia da radical chic.

“Io non ho quella malattia da radical chic!” si ripeteva Carla, dai capelli scompigliati e dalle camicie mai stirate. Non riusciva a convincersi del fatto che combatteva la superficialità nonostante faceva di essa il suo tutto. Aveva gran voglia di far vedere quanto era bella dentro: era consapevole della sua intelligenza, del suo interesse per la cultura fuori dal normale, soprattutto per i ragazzi della sua età. Odiava esser diversa, ma lo amava profondamente. Carla era una ragazza che la si amava o la si odiava. Non grigio, bianco o nero con lei. La sua attenzione per le parole e i suoi passi impacciati, il suo amore per i libri e il suo odio per le scarpe; non era molto femminile: piuttosto che urlarti in faccia dall’alto di un tacco 15, ti sferrava un calcio nel culo con i suoi anfibi da uomo. Una donna-bambina, lo sguardo da donna, le guance da bambina. Carla non era una ragazza particolarmente bella, ma era bella particolarmente. Aveva la bellezza di una persona che ne aveva vissute tante, di una che va sempre in giro con i guantoni da box, solo da lei visibili. Carla odiava tutti, ma quando amava lo faceva bene, con tutta se stessa. Amava bene, amava con la testa e non col cuore. Carla parlava con gli animali, li rispettava, dedicava gran parte della sua vita per loro. Era fottutamente cinica ma dolce. Era cinicamente dolce. “Aveva una buona parola per tutti” ma difendeva qualsiasi minoranza. Secondo la gente Carla era quella forte con cui parlare perché sapeva sempre come affrontare le cose, in realtà era solo una ragazzina con una malattia da viziata radical chic che pur di non mangiare si fece mangiare dagli stereotipi della società.

 

Non ho curato la forma volutamente, volevo rimanesse un testo semplice.

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Occhi vispi e color ambra

“Ciao tesoro, che fai?”
“Niente papà, guardo il mare”
Quella ragazzina era così sveglia per i suoi 11 anni, con gli occhi color ambra, così vispi, pensò il padre di Maya.
“Va bene piccola ma sta attenta e torna presto!”
“Ok, a dopo!”, rispose lei, con la voce candida e impregnata di innocenza e curiosità. Era proprio vero, quei suoi occhi così dolci erano vispi e bramosi di conoscenza. Si notava anche da questo la sua intelligenza, sarebbe diventata una donna adulta, colta e triste. Triste come tutte le persone intelligenti. Maya non stimava suo padre, nonostante le desse tutto, nonostante la viziasse. Il padre di Maya beveva, beveva molto. Iniziò a bere dopo la morte di Brigitte, sua moglie e madre di sua figlia. Si amavano tanto, eppure la morte è più forte dell’amore. Anche quel giorno che stava svanendo dietro il mare, Nick, il padre di Maya era ubriaco. La bambina ormai non gli dava più peso, nonostante ci soffrisse. Soffriva perché temeva di rimanere da sola, soffriva perché aveva paura che l’alcol potesse uccidere suo padre. Nick si allontanò tranquillo, sapeva che sua figlia era una bambina responsabile e che non si sarebbe cacciata nei guai, oppure se ne auto convinceva: era troppo ubriaco per poter prendersi cura di lei, era meglio che lo facesse da sola. Era stanco ed affannato, voleva tornare a casa, passò per la via più breve ma più pericolosa. Soprattutto se non si è a pieno delle proprie capacità. Passò per quello scoglio, senza far caso alla marea alta. Nick capì che era arrivata la fine, che non aveva forze e voglie per combattere contro il mare. Estrasse dalla giacca una piccola bottiglia di vetro con dentro un pezzo di carta arrotolato e si lasciò morire trasportato dalle onde del mare. Maya era sola, la sua paura più grande le si presentò davanti, schiaffata e scaraventata così quella dura realtà come quell’onda che le portò via il padre. Lei crebbe, passarono gli anni ma non si allontanò mai da quella costa. Era il crepuscolo di una bella giornata quando trovò una piccola bottiglia con dentro un pezzo di carta.

“non avrei mai voluto figlia mia, ti amerò sempre, ti amerò meglio da lontano”.

Maya pianse, Maya sorrise.

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Hai sentito di Tom? Tom se ne è andato via. Per sempre.

Sono le 2.20 di notte del 31 Gennaio 2014. Mancano quattro giorni, quattro giorni al terzo anniversario della tua morte. Sono già quasi tre anni che non ci sei più, ti penso spesso, non sempre lo ammetto. Non credo che riuscirei a dedicarti queste parole il giorno preciso della tua scomparsa, più che altro sento di scriverle ora e l’ispirazione non va mai braccata.
Mi manchi.
”Avrei voluto averti amato, ma è così tardi ora! Parlami ancora Tom, dimmi qualcosa.”
Sembra davvero uno scherzo come nella canzone del Teatro Degli Orrori, eppure non è una fantasia. Razionalmente incolpo questa società di merda, i suoi stereotipi, la mentalità della gente. Quando provo rabbia o dolore incolpo solo te, ti insulto spesso, sai? ”Cazzo sei una stupida vigliacca cogliona!”, questo mi/ti ripeto spesso. Ma lo so, tranquilla, che se avessi potuto scegliere non lo avresti fatto. Amavi così tanto i tuoi amici, la vita. Il problema era che non amavi te. Che sorridevi sempre agli altri ma mai di fronte ad uno specchio. Ti vedevi brutta, grassa, sempre fuori luogo e questo era fomentato dalla malvagità della gente che era obbligatoriamente affianco a te, tutti i giorni. E avrei voluto esserci io affianco a te, tutto quel tempo. Rimprovero me per aver sprecato mille occasioni per strapparti un sorriso. Non me lo perdonerò mai… ma so che tu lo hai già fatto e che anzi, non lo hai mai considerato come un qualcosa da perdonare. Ti ricorderò intensamente tra quattro giorni, in silenzio.
Ti stringo forte, anche se non ci sei più, ti voglio bene.

F.

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Giudici del bene e del male

Mi chiedo come sia possibile l’esistenza di individui che si sentono detentori della verità assoluta. Come se essa esistesse. Come se esistessero davvero il bene e il male. Mi chiedo come sia possibile l’esistenza di giudici che non fanno altro che puntare il dito urlando “STAI SBAGLIANDO!”. Mi chiedo come sia possibile l’esistenza di arroganti persone che decidono chi, quali e quante persone amare, di che sesso o  genere. Come se l’amore fosse un’operazione matematica, una logica da seguire altrimenti si è ”diversi” o ”sbagliati”. L’unico scopo che dovremmo avere nella nostra vita è quello di cercare la felicità, nelle piccole e grandi cose. Dal star bene con chi vuoi al raggiungere i propri obbiettivi. Il male genera altro male e il bene genera altro bene. Perché dunque dovremmo cercare il male? E allora perché puntare il dito contro il tizio di turno screditandolo, aizzandogli contro terze persone, fargli del male per stare bene? Perché per stare bene bisogna fare del male? Io provo piacere procurando piacere, non il contrario. Smettetela di essere saccenti, difendete le vostre verità rispettando quelle degli altri.

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Neolingua e censura nelle scuole

Conosciamo tutti la famigerata frase ”suo figlio è intelligente ma non si applica”, ci perseguita dalle elementari, da quando ci insegnano a reprimere la nostra creatività, quando preferiamo giocare, cantare, ballare, disegnare e loro ti fanno stare seduto 8 ore.
Ma forse un bambino non si applica proprio perché è intelligente. Pensavo a questo quando la mia insegnante di lettere mi ha riconsegnato il tema in classe. Non voglio essere saccente o presuntuosa, ma le sue correzioni son state ridicole, mi ha banalizzato tutto il discorso trasformando periodi lunghi e ben articolati in tante piccole frasi e il risultato è apparso pessimo: sembrava un tema scritto da un bambino frequentante la terza elementare. Ma la cosa che mi ha fatto più rabbia è che mi ha cancellato la parola ”sistema capitalistico” perché, a suo dire, è un concetto superato dato che le lotte sono finite negli anni ’80. Poi mi ha fatto l’esempio della Cina che è sempre stato un paese statalista e socialista ma da quanto ha scoperto il mercato è diventato capitalista. Sono entrambi due verità relativamente valide, ma non abbastanza valide per potermi censurare. Perché sì, le lotte sono (apparentemente) finite, ma il capitalismo non è stato abbattuto e questa censura mi ha di nuovo, per l’ennesima volta, portato a pensare al caro Orwell e alla neolingua. Vogliono disabituarci a nominare e a pensare a certi concetti! Ormai il capitalismo c’è ed è scontato che ci sia e noi antagonisti dobbiamo fare pippa ed accettare che sia così fino a dimenticarci della sua esistenza ed accettare da buoni qualunquisti il tutto passivamente. E ci sarà pur qualcuno che, con qualche retaggio cristiano, dirà ”e così sia”, ma io no, mi dispiace cara Prof., il capitalismo non è superato e io continuerò a combatterlo.

 

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