Strascichi

Non ho fame stasera. Non ho fame perché non ho fame o perché non voglio mangiare?

Forse dovrei mangiare qualcosa, ho paura che il mio corpo si riabitui al digiuno.

Se salti un pasto non ti riabitui al digiuno.

E se invece sì?

Ma se mangio senza avere fame e poi mi abbuffo? Potrebbe accadere, non c’è nessuno. Potrei.

Solo tre biscotti. Solo tre.

E poi il quarto.

Infine il quinto.

Ecco, ho mangiato due biscotti in più rispetto a quanto accordato.

Mi sono abbuffata.

No, sono solo 5 biscotti.

Ma avevo deciso di mangiare tre, e non avevo nemmeno fame.

62×5: 310.

310 kcal.

Con un’ora di camminata veloce ne brucio 190.

Rimangono 120kcal. Due biscotti.

Ho mangiato solo due biscotti. Posso andare a dormire più tranquilla.

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Il sacco degli empatici non si chiude mai

Ci sono diversi tipi di persone: i deboli, i forti e i coraggiosi. Le persone coraggiose sono quelle che nonostante le loro debolezze affrontano gli affanni della vita con forza e dedizione. È questo che le rende tali.
Le persone coraggiose si fanno spesso carico delle situazioni altrui: immaginate un uomo che arranca in una fossa, è lì che tenta di risalire ma non ce la fa e rimane in quel limbo perpetuo tra la caduta e la risalita. Quest’uomo ha un sacco pieno dei suoi problemi che tiene sulle spalle, ma succede che ogni tanto passa di lì qualcuno che nota la forza con cui quest’uomo riesce a tenersi su senza cadere, per questo pensa di alleggerire il proprio sacco mettendo uno dei propri problemi in quello dell’uomo coraggioso, “tanto è forte, ce la fa”.

Arriva un giorno in cui quel sacco pesa decisamente troppo, “ti prego, prendi questo problema al posto mio, così la mia risalita sarà più facile!”, dice l’uomo coraggioso, che non riceverà mai un aiuto né una risposta.
La gente non è cattiva, è debole. Per questo quando si rende conto che le persone coraggiose non sono forti ma hanno semplicemente la forza di reagire, si spaventano. “Com’è possibile? Proprio lui!” Sì, proprio lui, desto e coraggioso, ha bisogno di aiuto. Un aiuto che raramente riceverà.

L’uomo coraggioso un po’ ci rimane male quando si trova in una situazione del genere ché è vero “fai del bene e scordatelo”, però insomma, una persona altruista andrebbe aiutata. Probabilmente si sente anche egoista quando si offende, perché crede di essere pretenzioso e che l’aiuto vada dato solo se si ha voglia. Conscio di ciò, continuerà ad arrancare fino a quando non risolverà uno ad uno i suoi problemi.

 

Metafore e storielle a parte, questo è un meccanismo molto frequente nelle relazioni sociali e interpersonali. Esistono quei rapporti belli, dove l’amore o l’amicizia sono autentici ma che sono, in alcune cose, a senso unico. Quello che prende nel sacco tutti i problemi dell’altro, di solito è una figura presente, fissa, paziente e che raramente abbandona gli altri. È una persona apparentemente forte, sorridente e priva di ogni tipo di difficoltà; per questo quando chiede aiuto rimane da sola. “L’altro” semplicemente si spaventa, rimane spiazzato e non sa come affrontare la questione perché non è abituato a veder star male chi male non sta mai.

Andando a fondo la questione l’uomo coraggioso diventa vittima di quelle persone con personalità narcisista. Il narcisista non è soltanto colui che elogia se stesso, ma anche quello che denigra l’altro, solo così si sente elevato. L’uomo coraggioso non ha molte alternative se non quella di passare il resto della sua esistenza arrancando (in una fossa con un sacco sulle spalle) e raccogliendo i pezzi della sua vita frammentata. È qui che si capisce che l’uomo coraggioso è un empatico (ovvero l’esatto opposto del narcisista) perché quest’ultimo, come vittima, non può scegliere un altro narcisista, ma qualcuno di debole e facile da manipolare. C’è anche una lieve forma di invidia nei confronti di una persona buona (come solo un empatico è), cosa che il N. non riesce ad essere.
Il problema più grande è che quasi sempre l’empatico diventa dipendente del narcisista e finché non sarà “smollato” sarà il suo schiavo emotivo, impiegando tutte le sue forze e tutte le sue energie per soddisfare una persona travestita da leader.

Sapete alla fine che succede? Che l’uomo coraggioso, sì quello empatico, si stanca. Però la sua stanchezza non lo trasforma in un narciso, non lo trasforma da vittima a carnefice, no. Per questo l’uomo coraggioso non butta via il sacco né lo chiude ai problemi degli altri. L’uomo coraggioso smette di arrancare e… vola giù

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© Erika Vita

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Towards the forest

L’oblio in cui cadono le nostre due anime
Che galleggiano
La notte, quando tutto è spento
Quando tutto muore

Galleggio,
Io ti sento.

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Motivi per cui ad un antispecista vero non frega un cazzo dell’OMS.

Volevo ricordarvi che l’OMS è quell’organizzazione che considerò, fino al 1974, l’omosessualità come una malattia mentale. Attualmente l’OMS include tra le malattie psicologiche il transessualismo, l’intersessualismo e tutte quelle sfumature d’identità e di libertà sessuale. Per ora non include l’omosessualità, purché venga intesa come rapporto istituzionalizzato, altrimenti viene considerata una perversione mentale.

L’OMS attualmente permette reclusione, torture psicologiche e fisiche a tutt* coloro che vengono considerat* da rinchiudere.

Queste sono le premesse utili a far capire che nell’ambiente antispecista, animalista e vegan non c’è nulla da festeggiare; andiamo a vedere perché:

  1. Che la carne sia cancerogena o meno non è un fattore rilevante, il rifiuto della carne è un atto politico che si rifiuta di sostenere ogni tipo di sfruttamento umano e animale.
  2. Il fatto che la carne sia cancerogena non porterà a nessun progresso nell’ambiente antispecista dato che la gente smetterà di mangiare CARNE ROSSA LAVORATA per paura di contrarre un ipotetico tumore e non per boicottare l’industria crudele che si cela dietro.

3.Sostenere le tesi dell’OMS significa riconoscergli un minimo di autorità nel campo, e data la definizione di antispecismo mi oppongo a qualsiasi forma di psichiatria e di transfobia.

  1. L’antispecismo mira l’abolizione dello sfruttamento animale, non ad una dieta salutista.

La differenza è sostanziale: c’è chi è vegan per una lotta politica, perché crede che ogni individuo abbia diritto alla sua libertà ed è contro ogni tipo di sfruttamento e discriminazione. Poi c’è chi è vegan perché l’avocado è buono, e perché fa figo. In ogni caso ancora oggi, di animali e liberazione totale non se n’è parlato proprio.

 

P.S. vorrei avere il potere di controllare tutti quei vegani che hanno esultato per conoscere le loro abitudini. Spero che nessuno di loro fumi o beva.

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Aiutami, parlami, sorridimi

Dai, ho tolto la borsa dal sedile e gli auricolari dagli orecchi, siediti qui. Siediti qui e sorridimi, facciamo amicizia, conosciamoci. No, non voglio nulla da te, se non un gesto di gentilezza. Aiutami a fidarmi della gente, aiutami a pensare che ho fatto bene a lasciare libero il posto affianco al mio al fato. Per me è importante, per favore, sorridimi, chiedimi che ore sono o parlami del tempo. Diventa mio amico per cinque minuti e poi vattene come se non fossi mai esistita. Ma ti prego, dedicali a me, mera sconosciuta, quei cinque minuti. Magari ti lascio qualcosa, magari no, ma che importa? Dai, di’ qualcosa, parlami, sorridimi. Dammi speranza.

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L’amore è cieco, l’oppressione no

Un uomo cieco era seduto poco lontano da me, attendeva assieme alla moglie e alla figlia il suo turno per chissà quale visita. Chiamarono il suo numero e, le sue movenze apparentemente scontate, attirarono la mia attenzione: l’uomo era sottobraccio alla moglie e andava dove lei lo portava, camminava alla velocità che lei decideva. Un bel gesto d’amore che mi ha fatto sentire cieca, che mi ha fatto percepire di vivere in un mondo di ciechi. Siamo realmente noi a decidere dove andare? Come andare? Siamo veramente noi a decidere della nostra vita? Siamo realmente liberi di scegliere? Credo di no. Mi sento cieca, mi sento schiava, mi sento legata. Mi sento schiava dell’immagine che decide per me cosa è bello, mi sento schiava degli stereotipi, dei soldi… Effettivamente però il sentirsi schiavi è un indice di libertà. Ma cosa mi rimane? Cosa devo fare per spezzare queste catene che in qualche modo ho costruito io? Soprattutto quello che mi chiedo è: e gli altri? E le persone che si sentono libere? Quelle realmente schiave? Se io riuscissi a liberarmi delle mie catene riuscirei a sentirmi libera? Probabilmente no. Quello che sogno non è la mia libertà perché finché esisterà anche solo un uomo ”in gabbia” nessuno sarà davvero libero.

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Carla non ha più quella malattia da radical chic

“Io non ho più quella malattia da radical chic” si ripeteva Carla, con un sorriso stampato negli occhi. Era fiera di sé: aveva sconfitto quel male così radicato in lei. Carla, come sempre, odiava tutti… ma se prima amava bene ora lo faceva meglio, lo faceva meglio perché aveva la mente più libera e il cuore meno freddo. Carla adesso aveva tanta voglia di vivere e di scoprire nuove emozioni, nuove sensazioni. Ora Carla aveva il cuore aperto e non temeva più l’amore. Rimase “cinicamente dolce” com’era un tempo, ma solo perché le piaceva apparire come una tipa con le ”contro gonadi”, probabilmente in realtà la timidezza aveva la meglio anche in questo senso.
Quanti controsensi costruivano la personalità di Carla, così poco pudica circa alcuni atteggiamenti (tanto da esser tacciata di immoralità troppo spesso) ma timida, vergognosa per le quotidianità più intime, quelle che la gente normale palesa senza problemi pubblicamente. Che so, magari scoreggiava in una piazza gremita di gente ma aveva vergogna nel baciare il suo ragazzo di fronte i suoi amici.

Eh, beato chi capiva Carla. Lei stessa aveva difficoltà nel capirsi. L’unica cosa certa, evidente in lei era la paura che provava. Per cosa? Per tutto e per niente. Forse aveva paura di avere paura. E infine aveva paura comunque.
Paura di non bastare, di non amare abbastanza, di essere troppo presente. La cosa buffa era che più aveva paura di certi atteggiamenti e più li assumeva.

La più grande paura di Carla era sicuramente quella di rimanere sola, di sentirti raccontare bugie, eppure puntualmente si affiancava persone di questo tipo.
Tutto sommato era finalmente felice, sì, gli occhi assumevano la loro peculiare forma ad (an)arcobaleno.

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Romanismi alle quattro del mattino

Io nun è che vojo scrive ‘na poesia, anche se così sarà. Nun è che vojo esse smielata, ma diversamente nun so’ fa. La mente e er core m’hai rubato, ‘tacci tua nun me l’aspettavo. E l’occhi tua non sai quanto so’ veri, se vede popo che so’ sinceri. Mannaggia quanto so’ belli, riesco a guarda’ solo quelli. Come hai fatto nun se sa’ eppure ecchice qua, a sfonna’ er muro der futuro e a fregacce della gente che nun capisce gnente;
Che semo nnammorati davero, te giuro amore mio che c’ho rcore sincero. E co’ ‘sta poesia melensa te saluto. Io nun so come sia accaduto ma te lo giuro che te amo: io e er core mio nun fingiamo.

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Malinconia

Era bello pensare che le mie dita esistessero per accarezzare ogni millimetro della tua pelle. Era bello pensare che la noia non sarebbe mai arrivata, che ogni giorno sarebbe stato speciale. Eppure eccoci qui, senza neppure dirci più ‘ti amo’. Perché lo sappiamo, perché sarebbe scontato. Eppure eccoci qui, senza neppure accarezzarci più, perché tanto i posti da accarezzare son già stati accarezzati.
Quanto fa male tutto ciò? Quanto fanno male i dubbi, le paure e le lacrime da nascondere?

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Affogo in un mare di ricordi

Affogo in un mare di ricordi,

con i tuoi silenzi assurdi

di una madre ferita,

dai miei racconti atterrita.

E non trovo sfogo se non nelle parole

che coltivo come se fossero aiuole.

Aiuole dalle quali fioriscono i fiori di Baudelaire,

i fiori del male.

Il male di vivere,

il cuore svuotato

senza nient’altro da aggiungere

lascio parlare il mio cuore calpestato.

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